giovedì 10 giugno 2010



 DA LONTANO A COSì VICINO 







martedì 1 giugno 2010



La LeggEnda della tesTa sacrA


' Oh Angelo, oh mio angelo custode,
ho ascoltato la tua promessa, ho meditato le tue parole, e non senza sforzo si fanno strada, gli faccio strada nel mio cuore. A dire la verità, la mia verità stento, accenno a crollare, a non giungere al passo. 
In quelle azioni che si chiamano sogni mi hai fatto dono di una grande visione.....'


Si narra che al tempo prima del tempo, lontano nel profondo dell'Oriente, alle origini dell'Oriente, nella fiorente civiltà che animava allora le terre, vivesse un uomo il cui nome è perso, a tutti noto come l'uomo dalla testa sacra. La sua fama, il suo talento nella magia delle parole incombeva su tutta la regione da un capo all'altro moltiplicandosi le storie. 
Ma ogni cosa ha un prezzo, ha un sacrificio.                                         
Nato in una notte di plenilunio, il piccolo era stato abbandonato alle porte del Tempio del Dio Rurusha l'intagliatore degli uomini ponte, degli assisi fra i retti, e tutti gli oracoli all'unisono avevano risuonato. Allevato nel tempio, aveva sviluppato il suo spiccato talento, il suo dono divino, anche i monaci amavano lasciarsi ammaliare dalle sue parole, dalle parole del loro dio. Ma i monaci sapevano che Rurusha è un Dio che ama scherzare. Quando le notti di luna piena imbiancavano il cielo, il giovane dalla testa sacra infuriava per le città, per le piazze, per i paesi come la voce che ammalia le dolci fanciulle. E non ci sarebbe stato nulla di male se non fosse che tutte le fanciulle che andava a importunare, a violare, erano quelle promesse alle altre divinità. E in ciò i monaci vedevano l'inconfondibile mano di Rurusha. Perciò per evitare guai seri e già mal visti dai monaci degli altri dei, i monaci escogitarono alcuni stratagemmi per impedire all'uomo dalla testa sacra di incorrere nella furia delle altre divinità. In quelle notti, lo legavano, gli incerottavano la bocca, e gli coprivano gli occhi con una benda di lino, per evitare che con i suoi poteri infiammati potesse incantare qualcuno dei monaci a guardia a liberarlo ed è certo che ci sarebbe riuscito. Il giovane crebbe, divenne ammirato e riconosciuto in tutto il regno, anche l'imperatore si serviva spesso dei suoi favori per risolvere situazioni spinose non senza il disaccordo dei monaci perchè Rurusha era un divinità per natura ribelle ispiratrice d'estasi, amante delle fenditure, dei passaggi, delle lontananze e non dedita alle diplomazie imperiali, mondane, anche se il prestigio di Rurusha, che prima godeva di una pessima reputazione, andava crescendo. Ma nessuno era a conoscenza di questo piccolo fatale segreto. Difficile dire chi fosse quest'uomo dalla testa sacra, sembrava così in armonia con la natura del suo Dio, così una cosa sola, da apparire impossibile individuare una indole fugace di natura umana. Ma ciò che era temuto, doveva avvenire. Ogni cosa ha un prezzo, ha un sacrificio. Una sera, le guardie imperiali vennero a prelevare l'uomo dalla testa sacra fino al monastero in tutta urgenza per portarlo al palazzo imperiale. Vi era in gioco un difficilissimo trattato con una potenza confinante, e si era in un momento critico dove una sola parola fuoriposto avrebbe potuto condannare il paese ad anni di dure guerre e sofferenze. Inutile dire che quasi bastò uno sguardo dell'uomo dalla Testa sacra, una parola flebile sussurata per indicare la via alla soluzione. L'uomo dalla testa sacra, sarebbe stato immediatamente ricondotto al Tempio, se non fosse che imperversava una furiosa tempesta improvvisamente scoppiata in fragori di fulmini e tuoni. Chissà se il Dio Merusha, padrone dei cieli, degli eventi climatici, avesse qualche conto in sospeso con il Dio Rurusha. Perciò l'uomo dalla testa sacra venne ospitato e fatto sistemare negli alloggi del palazzo. Nulla avrebbe potuto ora impedire al volto lunare del Dio Rurusha di imperversare nella notte. Molto di ciò che accadde quella notte venne espunto dalle cronache, venne taciuto, inspiegabile a dirsi e a vedersi. Corpi strazziati dal desiderio, giovani e vecchi in lacrime e tutte le fiamme tenute a bada dai monaci coi loro stratagemmi, erano esplose insieme in una notte sola. Ma ciò che decretò il volgere del destino dell'uomo dalla testa sacra, fu l'aver violato la vergine Anjina figlia dell'imperatore promessa vestale alla Dea Tarisha. 
La collera dell'imperatore cavalcava l'offesa alla divinità. 
L'uomo dalla testa sacra venne condannato a morte per decapitazione. Ma la dea Tarisha, bilancia della giustizia, economa della sorte, misura della legge, sapeva meglio di ogni altro uomo e divinità che ciò che è sacro non può essere violato. E l'uomo dalla testa sacra non poteva essere ucciso per decapitazione, la lama si sarebbe spezzata. Ma a una condanna inapplicabile bisognava trovare una equa alternativa, per impedire alla sorte di volgersi in maledizione. Si narra che la Dea Tarisha chiamò a consiglio il Dio Rurusha, ma nessuno mai seppe cosa si dissero. Così al giorno dell'esecuzione, all'alba come era consuetudine allora, per aggiungere alla morte, la consapevolezza al condannato che per lui quell'alba non avrebbe avuto seguito e come augurio di risorgere in un altro luogo purificato dalla morte, il boia calò la mannaia. Per ben tre volte senza esito, tre lame spezzate. Così come recitava la legge, a quel punto il condannato era salvo, qualsiasi fosse il suo reato. L'uomo dalla testa sacra, sollevato fino alle lacrime di averla scampata ( e forse in questo tratto rivelò la sua natura umana ), non sapeva che avrebbe rimpianto questo privilegio. La sua condanna fu sancita nei secoli. Condannato a cantare nel fallimento, nella desolazione le innumerevoli esistenze fuggite all'ombra della storia. 
Ogni cosa ha un prezzo, ha un sacrificio.


'....E poi come un foglio sbucato dal nulla apparve nella visione, una pergamena, una pagina dal libro del destino, dove tra parola e verità e realtà non vi è possibilità d'evasione. Ricordo che una vita vi era segnata, da luminare a Oxford, caduto in disgrazia forse, come fossi il vagabondo delle stelle di Jack London'. Così terminò il mio racconto, senza non poco averci ricamato sopra, alla mia maga cinese. Lei presa di soprassalto, pensierosa, farneticava con le mani, le braccia gesticolando il senso di quel racconto. Nell'attesa la osservavo, così saggia, vetusta ma ancora bella, vibrante una carica erotica da far invidia a giovani pollastrelle. Forse avevo esagerato un po' con la fantasticazione del frutto della mia visione, ma sapevo che la maga era in grado di discernere, quindi non mi preoccupai troppo anche se si spostava agitata come mai l'avevo vista da un angolo all'altro del patio, di fronte a vigneti che separavano dalla strada, che attestavano uno spazio di serena quiete. Alla fine, come dal tramonto dei suoi pensieri esclamò ' ora sei pronto a sapere '. Quali vertigini e singolari moti di nausea invasero il mio stomaco al proferire di queste parole, tanto attese, tanto ricche per me di desideri, di prospettive numinose sulla mia vita, sul mio destino. Per la prima volta stavo per entrare nel misterioso laboratorio, così me la immaginavo quella stanzetta che ad angolo dei vigneti, immersa nel buio, chissà cosa nascondeva. La maga era già dentro, io dietro a lei sul punto di varcare la soglia, quando delle ali, delle piccole ali mi sembrarono come prendere forma dal buio stesso di cui era colma la stanza e mi arrestai. La maga mi tranquillizzò, come vedendo sebbene mi fosse di spalle, dicendo ' vuoi vedere il pipistrello ?', quindi, quello doveva essere un pipistrello. Ma in moto di ritorno quel pipistrello si dispiegò in due farfalle una gialla che mi si venne a posare con mia somma gioia sulla spalla destra, senza alcun timore, e l'altra farfalla rossa più grande, si posò sul cappello di una delle tre amanite muscarie, il fungo prediletto delle favole, sbucate come dal nulla in un angolo, in un angolo da fiaba, in un angolo come ritaglio di un sottobosco che aveva in quel luogo la sua più propria dimora, vitalità, che come sempre stato lì ma mai visto, si era illuminato di una luce d'aquisgrana, di una di quelle luci pudiche e di una tale purezza degne delle lucciole, degne delle fate.


'...E poi pieno di questa ebbrezza, dello spalancarsi ai miei occhi di questo luminoso piccolo angolo di fiandra, al tocco sapiente della farfalla, le farfalle notturne custodi dell'eternità, si ricorda ?, ne parlava quell'antico sciamano,il loro venirmi incontro, il loro riconoscermi, per me fu una emozione incontenibile, un segno di buon auspicio, del miglior auspicio, del mio ingresso nel mondo magico. Non seppi reggere e mi risvegliai dal sogno'. 
E conclusi così il mio racconto. Come rimbalzando da un piano all'altro, eccomi lì a narrare il percorso che avevo rammendato fino a ritrovare la via a questa stanza.
Mi trovavo qui ora con il mio psicanalista al compiersi della mia seduta settimanale, che mi guardava ancora più stranito della maga cinese, una faccia esterefatta, affossando nella sua poltrona analitica insieme alle sue parole di interpretazione, alla sua mantica dei sogni che cedeva il passo allo stupore, si ammutoliva al rivelarsi al nume del silenzio della voce di quel racconto, come trasumanato....


Fu allora che mi rinvenni, mi risvegliai nel mio letto già tardo al mattino nella mia stanza ancora buia, nella mia vita perorata, pronte le faccende quotidiane ad affaccendarmi, ad affastellarsi,
serbando il rigore, il melodioso rincorrersi della leggenda della testa sacra
fosse ancora,
in caduta libera.


Ogni cosa ha un prezzo, ha un sacrificio.